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Mad Entertainment – Vanity Fair |

Mad Entertainment – Vanity Fair

Non ci sono rami fioriti senza radici solide. È questa la filosofia della factory MAD che ha dato vita e anima al nostro «corto di Natale». Un’eccellenza italiana fatta di creativi che hanno scelto di stare a Napoli, il posto a cui tornare.


Bisogna salire i 48 scalini del settecentesco Palazzo Pandola, farseli tutti col fiatone, per misurare la distanza che esiste tra uno sguardo nuovo e la città classica, per sentire la gioiosa fatica di un’ascesa, insieme la similitudine e la divergenza dalla tradizione che a Napoli può metterti il piombo nelle gambe o sollevarti tra le nuvole, secondo che ciascuno la interpreti assecondando questo o quell’aspetto, la pece dei vicoli o la sua millenaria intelligenza. A 250 metri dal monastero di Santa Chiara dove Roberto Murolo cantava pensando a Napule comm’era, accosto al palazzo nel quale a metà ’800 visse Edgar Degas, è partita una scommessa iniziata come un miracolo, pari alla bomba caduta durante la guerra sul soffitto della navata centrale della chiesa del Gesù Nuovo poco distante, e rimasta inesplosa là a testimonianza che ogni cosa può accadere al popolo che ha 52 santi patroni dal sangue sciolto, eppure mai protetto davvero no in fondo. Forse ha ragione Luciano Stella, quando parla della sua creatura, la MAD Entertainment, e dice che non si sentono «né eredi di qualcuno né innovatori di qualcosa» in questa casa di produzione, questo studio di animazione giunto ai dieci anni di vita con 3 David di Donatello, 2 Nastri d’argento, premi a Venezia e agli European Film Awards. A pochi passi dal Decumano inferiore e dalla Spaccanapoli che taglia in due il formicaio del centro, attraversando i borghi dei librai e dei presepi no a gettarsi dentro Forcella, registi e disegnatori, tecnici e montatori progettano un linguaggio inusuale che nella città dove niente funziona come il passato, si realizza e si trasforma in flusso di futuro, dopo secoli di tele e di spartiti, di pittura e musica. Siamo nel palazzo in cui Vittorio De Sica girò L’oro di Napoli scritto da Giuseppe Marotta, dove Marcello Mastroianni e Sophia Loren fecero Matrimonio all’italiana. Dalle pareti ogni tanto spunta un rostro, sul quale stavano agganciati a suo tempo gli scaffali con le pizze di pellicola. Venivano a prenderle dalla provincia, dalla Calabria, dalla Basilicata. Quando Napoli era un nodo del mercato. Il cinema muto è nato qui. Proprio in queste strade la Titanus ha conosciuto il suo seme d’origine con la Lombardo Film. L’appartamento nel quale sono nate L’arte della felicità e Gatta Cenerentola era di proprietà di Antonio Stella, padre di Luciano. «Era stato prigioniero di guerra a Canberra per cinque anni. Quando è tornato, conosceva benissimo l’inglese. Cominciò traducendo le proiezioni per l’Italia. Non potremmo mai lavorare in un capannone industriale. Vivere nel cuore della città ha influito sulle cose che facciamo. Napoli è un mondo vivace, ancora non omologato. E MAD è Napoli. Senza rivendicazioni folkloristiche. Io penso che casa sia il luogo in cui si sta bene. Che tutti debbano avere la possibilità di scoprire il proprio posto nel mondo ma che debbano anche avere il diritto di tornare». È la storia di Francesco Filippini, dalla cui creatività è na- to Danzeremo ancora insieme, un corto sulla speranza ispirato alla figura di Roberto Bolle, realizzato in partnership con Vanity Fair. Filippini ha iniziato girandone uno nella sua stanzetta con delle statuine. Un professore all’istituto d’arte lo incoraggiava. Lo spedì ai festival nel mondo. Gli risposero da Roma: non lo prendiamo, ma continua. Quando i David misero in piedi un’edizione web, online c’era anche il suo Orkiestra. «Due anni dopo sono andato a New York. Avevo il desiderio di girare. Mi dissi: mettiamo in valigia il portfolio e vediamo che succede». Succede che trova un posto nello studio di Bill Plympton e ne diventa il direttore artistico. Con il corto The Loneliest Stoplight entrano nella short list per gli Oscar. «E poi mi sono scocciato. Ho chiamato MAD e ho chiesto di tornare. Volevo lavorare nel fermento». Simposio suino in re minore, storia di un maiale domestico, è stato candidato ai David. C’è della casualità nella storia di MAD, acronimo di Movie Animation Documentary. Articolo completo: VanityFair – Danzeremo ancora insieme 

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